Faccia A della cassetta 2
Sono sempre a Bologna, oggi è sabato 18/12/2005 e ieri l’ho passato a risentire la prima cassetta e a vedere tutte le confusioni che ho fatto specialmente nel I terzo della faccia b della I cassetta, ho fatto una confusione terribile e allora ho fatto come un riassunto dove invece ho messo le cose a posto che poi lascerò attaccato a queste bobine e poi vorrei fare il riassunto del riassunto per metterlo in quei fogli di carta che sono dentro le cassette A e B in modo da avere un’idea di quello che dico se no uno si trova con le cassette mute.
Ecco adesso vado a risentire la fine della prima cassetta per poter continuare.
Figuriamoci! L’ho sentita… mah . Eh.. sono molto confusa. Adesso Alessandra mi diceva che, se parlo lentamente poi in quella diavoleria di computer si può scrivere direttamente quindi poi si potrebbe eventualmente correggere perché faccio delle gran ripetizioni beh insomma io dico quello che più o meno mi ricordo.
Quello che ho sentito è che alla fine di quell’altra bobina, io ricordavo che Papà stava volentieri con questa persone un po’ così, un po’ semplice un po’ furba che si chiamava Pari e che aveva questa sorella che si chiamava Cesira, “Ceseira” si diceva e che vorrei ricordare poi com’è morta parlando del carattere dei personaggi che ho incontrato nella mai vita perché insomma è triste ma anche un po’buffo
Siamo arrivati alla fine del 1932 , dopo la fine della cassetta 2 io andavo a Milano dove papà aveva trovato un posto in un laboratorio di fili. Lui era specialista in stoffe. Lui prese un appartamento in via Olindo Guerrini che non deve essere stato proprio un santo nella vita. Non mi ricordo, si può andare a vedere nell’enciclopedia. Io ci andai dopo, subito dopo e incominciai l’università. Ero iscritta a Fisica- matematica perché mamma diceva che se io avessi insegnato sarei stata un’impiegata statale e da lì non mi avrebbe mosso nessuno ed ero sicura di poter vivere onestamente e abbastanza bene tutta la vita. Io andavo sempre all’università e mi mettevo in prima fila. Avevo un quaderno e una matita, penna in mano e quando i professori spiegavano li guardavo con grande interesse. Questo è successo soprattutto con il primo esame che ho fatto che è stato analisi matem..(macchè analisi non la potevo soffrire) geometria analitica che mi piaceva e quando feci l’esame in primo appello, non avevo studiato bene, avevo una memoria visiva. Mi vedevo davanti le pagine e poi vedevo le formule che c’erano scritte. Insomma era il primo esame, non lo sapevo neanche fare e quindi il professore che mi aveva avuto sempre sorridente sotto agli occhi disse:” Mah.. le darò un 24/30 di incoraggiamento perché veramente il suo esame non è un buon esame.” Io me lo son presa felice e contenta, figuriamoci! Mmm che successe… è che devo dire le cose dette bene. Allora fra i miei compagni….ah credo di non aver detto il mio papiro, sì ecco non l’ho detto.
Prima di entrare all’università bisognava passare sotto una specie di forca caudina degli anziani
I quali pretendevano che uno gli comprasse le paste, del vino, insomma si facesse un pochettino di baldoria. E questo a me successe, non ricordo assolutamente come, con degli studenti di II III anno di Medicina . Questi mi scrissero un gran papiro, poi me lo fecero leggere, Io di solito ero, ma anche adesso, allora peggio ancora, ero molto ingenua, credevo alle cose che le persone mi dicevano, ma lì ho avuto l’impressione che questi fossero un po’ furbetti e volessero imbrogliarmi e quindi stavo molto attenta e quando mi hanno fatto leggere con sussiego questa formula chimica:
C6P8, io ho fatto uno sguardo angelico, guardandoli così con gli occhi interrogativi, tanto è vero che loro poi hanno smesso questo argomento. Beh le cose sono finite bene, io ho tenuto per un po’ di tempo questo pezzo di carta, cartone impiastricciato di crema, ma poi l’ho buttato. C6P8 vuol dire: ci sei nuda! Io con la mia ingenuità avevo capito che c’era qualcosa sotto.. insomma me la sono cavata bene.
All’università noi ci davamo tutti del tu, mentre ci davamo del lei al liceo di Rimini. C’era un giovane che si vede che mi si era avvicinato, che evidentemente ho capito che era molto bravo e che aveva un grande quaderno di appunti, prendeva appunti sempre, una calligrafia fine.
Io ho visto che c’aveva sto quaderno, gli ho chiesto qualcosa, qualche domanda e questo subito mi ha risposto e continuava a starmi vicino con questo quaderno, io domandavo… così, era quello con cui parlavo più di tutti gli altri, ecco.
Beh andando avanti così, io mi ricordo che andavo a qualche adunanza della FUCI.
Ora io della FUCI non sapevo niente ma la sig.na Massani,di cui spero di avere parlato, insomma questa persona meravigliosa che io conoscevo a Rimini che era un insegnante di disegno nel liceo classico riuniva il sabato prima o dopo l’adunata fascista per raccontarci le cose che succedevano nella giornata non era assolutamente l’Associazione Cattolica ma riuniva chi voleva andare del Liceo Classico e Scientifico. Io ci andavo. Questa sig.na cosa c’entra.. oddio che confusione… perchè ho detto Massani ah s…ì la Massani , che voleva seguirmi anche spiritualmente, mi aveva dato l’indirizzo della FUCI e io c’ero andata questo è una fatto certamente positivo perché il Signore segue sempre e dà delle dritte però in qualche momento bisogna rispondere di sì. Io avendo risposto di sì quella volta ho fatto benissimo perché è stato come aprire un pochino una porta che poi il Signore mi ha spalancato.
Allora questo giovane mi seguiva non era credente io penso proprio che non andasse in chiesa ma mi stava dietro veniva anche lui c’erano delle conferenze, delle messe e parlavamo parlavamo anche di questo e così questa amicizia come cresceva e anche si cambiava e alla fine come mi abbia detto che mi voleva bene proprio non me lo ricordo comunque anche io ero ben disposta, io ero molto gelosa di me, ma ero contenta non facevo nessun caso a quello che si poteva capire che c’era una differenza di censo. Questo ragazzo era sempre vestito modestamente doveva sempre andare avanti indietro per fare l’università, doveva andare fino a Mandello del Lario e rimaneva a Milano a mezzogiorno e sapevo, non so chi me lo avesse detto forse proprio lui, che siccome non aveva molti soldi mangiava pane e fichi secchi. Tutte queste cose non me ne interessava niente, io trovavo che era una persona gentile, ci trovavamo d’accordo con certe idee, per me andava bene ecco. E così è finito il I anno. Finito il I anno io sono tornata a Riccione, Rimini o Riccione. Insomma era estate e questo giovane voleva venire a presentarsi alla mia famiglia. Ed è venuto intorno a ferragosto, questo poverino si era messo il vestito più bello che aveva solo che era un vestito sul blu scuro, credo che fosse l’unico che a Riccione fosse vestito di questo colore a metà Agosto! Ci siamo incontrati alla stazione e con mamma siamo andati lungo il viale che andava al mare e ci siamo seduti su una panchina, non ricordo cosa ci siamo detti comunque mamma era molto seria
Molto silenziosa. Io avrò detto qualcosa ma non mi ricordo, comunque non ci fu nessun invito a pranzo il che significava che non era stato accettato. Io lì per lì credo di non aver saputo cosa pensare, come agire dopo; credo che fossi senza idee. Però il giorno dopo lui è rimasto siamo andati da questa famosa professoressa Maria Massani. Probabilmente non ho parlato di lei né parlerò dopo così capirete meglio. Questa M. Massani era stata la mia madre spirituale nel senso che io ero completamente a zero con il mio pensiero religioso di fede, di contatto con il soprannaturale, una cosa terribile. E lei invece aveva fatto in modo che questo cambiasse e anch’io ero cambiata con questi 2 o 3 anni che avevo avuto a disposizione. Lei mi conosceva benissimo, con questo ragazzo che si chiamava Giovanni Fioretti ma io chiamavo Gianni siamo andati da lei e Gianni disse subito, io le dissi brevemente come era andata, lui disse subito: dietro Mandello del Lario c’è una grande montagna che si chiama la Grigna, la Grigna deve essere un pezzo del Resegone, non lo so, un montagna piuttosto alta scabrosa, e lui disse :” bene, domani vado sulla Grigna e non torno!” Capirai…. allora la Massani ha fatto finta di non capire quello che significava e disse :” no, no ragazzi voi scrivete a me , tu , ha detto a Gianni , scrivi a me e Isabella viene( mi chiamava Isabellaccia, mi voleva un bene… mamma mia mi dava una carezza sulla guancia ma non sulla parte dritta della mano ( il palmo! n.d.r.) ma del dorso, chissà perché? Che donna!) prende la posta e poi io spedisco le risposte di lei”.
E così abbiamo fatto. Questo è continuato per 3 anni. Ecco questo in fondo…. è finito bene questo romanzetto, poteva finire in maniera tragica invece è continuato. Cosa devo dire adesso…sì ! Papà dopo questo fatto non ha detto niente, mamma non ha più parlato, però papà ha detto : Isabella non può più stare a Milano, e han pensato di mandarmi a Padova. A Padova papà conosceva delle persone ma è stato così intelligente di non affidarmi a nessuno quindi io ero affidata a me stessa, va beh che avevo un carattere un po’ così, Zì-mimina (penso una terribile sorella di Zio Federico.) va beh poteva farlo ha pensato di poterlo fare ed ha fatto bene. Perché c’era un suo amico un farmacista di cui non dico il nome che era un uomo di un cinismo e di una cattiveria come ho poi scoperto dopo, che è stato molto bene così. Mi ha mandato in un collegio: il collegio delle Dimesse. Era un collegio del ‘700 dove le signorine sci sci diventavano “dimesse” per poi servire nell’insegnamento e con i giovani, siccome anche era parecchio caro non credo ci potessero andare le contadinelle. Insomma era un bel collegio. Questo periodo di Padova è stato uno dei periodi più belli della mia vita. Il collegio era molto grande aveva un grande spazio dove c’era un vigneto. Noi andavamo sotto questi pampini a cercare il fresco quando avevamo degli esami d’estate. Avevamo una camera per uno un grande corridoio, le camere erano una dalla parte del giardino come la mia e una dalla parte della strada e io preferivo quella del giardino. Avevo la camera n. 5. Quando parlerò dei miei compagni di scuola, dopo dirò come ce la siamo passata e parlerò anche di queste mie compagne di università che saranno state 10-12 e siamo rimaste 3 o 4 vabbè ma io sempre telefono do le notizie delle une alle altre.
Son tutte storie di vita. A un certo momento, forse il III anno, papà viene a trovarmi, era tutto così incerto doveva dirmi qualcosa non aveva coraggio e alla fine mi dice:” Sai Sabbè, mamma dice che lei non è tanto contenta che tu non parli di niente che stai così serena così contenta, ma c’è qualcosa che non dici?”. Poveretto! Chissà quanto gli è costato dire questo. Io con la faccia più spudorata del mondo:” Ma no Papà io sto benissimo mi piace stare qua, mi diverto”. Figurati… mah. E lui se ne è andato contento. Gianni era bravissimo e si è laureato con la lode in 4 anni. Io non mi ricordo se ci sono andata, forse non c’ero. Fatto sta che lui subito dopo la laurea è andato, era più grande di me credo avesse un tre anni più di me, è andato volontario in marina. Non perché fosse fascista, anzi, perché diceva :“ quando la guerra sarà finita io voglio poter dire qualcosa e non voglio che mi si rimproveri di essermi imboscato”. A questo punto è venuto a casa vestito da ufficiale di marina e i miei l’hanno accettato e così sono stata fidanzata ufficialmente con questo ragazzo laureato in fisica.
Io invece ho continuato un altro anno prima di laurearmi anche con la scusa che lavoravo molto in FUCI , di questo parlerò dopo, e nel ’41 mi sono laureata.
E qui è successa una cosa spiacevole. Gianni non so faceva il guardiamarina, sarà andato a Taranto non mi ricordo dove si andava a prepararsi alla guerra e non so chi incontrava, ci scrivevamo forse un po’ di meno non me lo ricordo e io siccome ero molto dentro la FUCI e ogni anni venivano delle matricole ed era importante farsi un po’ reclame, ho chiesto a Papà di farmi come regalo un ricevimento ai Fucini che era un bel numero e papà mi ha detto di sì.
E’ venuto con il famoso amico schifoso e i miei amici. E sono stati uno sbanderno, siamo andati anche al caffè da Racca che era il primo, come si può dire, non era un bar una di quelle cose per cui nella sala di sopra eravamo in così tanti che il padrone aveva paura che si crepasse il pavimento ed è stato molto bello. Era costato 1.500 lire. Apriti cielo! Quando l’ho detto prima a lui che c’era questa festa e che venisse, lui categoricamente disse:” Io non vengo perché mi vergognerei a spendere così in tempo di guerra per questa ragione.” A me dispiacque perché non aveva capito perché lo facevo. Io lo facevo per la FUCI per farmi conoscere per l’allegria, tanto è vero che avevo ragione perché poi quando siamo usciti in via Garibaldi, mi pare, abbiamo fermato il traffico perché eravamo una fiumana di ragazzi che andava verso il Prato della Valle dove c’erano le giostre perché eravamo il
17 di Giugno e lì c’è stato il gran finale perché alcuni ragazzi erano anche un pochino brilli quindi mi ricordo che stavamo su questi cavalli uno si aggrappava alla coda dell’altro,insomma è stato bellissimo, invece lui si è molto offeso di questa cosa mia e questo l’ha allontanato da me e siamo arrivati al ’41. Io continuavo a stare a Padova, sì perché gli assistenti del nostro capo che era Rostagni, erano andati tutti in guerra. Qualcheduno che era Ebreo era scappato e gli altri non c’erano. Il professore aveva preso i laureati del 1941 e li aveva messi nei laboratori e noi assistevamo agli esami tanto che alcune persone che ancora conosco mi dicono:
“ Ah nel primo esame c’è la tua firma!” Facevamo come le segretarie agli esami. Io non sapevo quasi niente perché ho sempre studiato sempre poco. Mi avevano messo in ottica che oltre a tutto neanche mi piaceva. Comunque stavo lì e prendevo ben 450 lire al mese. Ho ritrovato le ricevute. Finisce il 41 io continuo a stare a Padova Gianni va in guerra. Scrivo, mi arriva qualche lettera molto censurata, dalla fine del Gennaio 42 gli mando, perché compiva gli anni, una pianta di fiori a Taranto dove era l’ultima volta dove sapevo stava, e dopo un po’ di tempo mi ritorna indietro con la dicitura : sconosciuto.
Questo mi fece molto senso perché non capivo il motivo. Con la sua famiglia non avevo tanti contatti, anzi non c’ero mai andata. E non sapevo più niente e allora ho chiesto. E loro mi hanno detto che non ne sapevano niente neanche loro e dalla fine del gennaio del 42 lui era disperso. Dopo abbiamo saputo cosa era successo. Era in una piccola nave che doveva scortare un convoglio verso l’Africa, figuriamoci con quelli Spitfire inglesi cosa poteva fare, la barca dove era lui era stata spaccata in due è andata a fondo, l’altra è rimasta a galla. Io sono andata con una mia collega a Venezia a cercare questi soldati ma era tutti mezzi rincretiniti, rispondevano male e quindi niente, finita! E io sono rimasta lì. Lì per lì ho detto che questo potevo anche aspettarmelo però è successo così in fretta e mi sono domandata perché è successo che cosa devo fare adesso. E sono andata dalla mia cugina che era Pia e sono convinta che io mi sono dimenticata di scrivere questa Pia nei figli di Zia Emilia ma non voglio tornare indietro con quest’albero genealogico perchè non lo so. Andai da lei che era una donna molto intelligente e aveva fatto un anno di università e poi si era fatta suora dalle suore dell’Immacolata Concezione che era una congregazione di Ascoli. Era molto indipendente molto critica, moderna, e le ho detto : Piuccia , la chiamavo così, che faccio ? Dici che potrei farmi suora? E lei mi rispose : ma Sabbè, sposati, sposati!
Non so se lei avesse saputo che intanto c’era in attesa un altro, un altro ragazzo.
E allora adesso devo tornare un pochettino indietro.
Quando sono arrivata a Padova io non avevo nessuno che mi veniva dietro, non parlavo con nessun ragazzo, lì le persone si davano del lei, anche all’università. Io andavo all’università con il mio solito metodo, stavo attenta, prendevo appunti, ma non avevo nessuno. Beh direi che i miei capelli rossi che poi avevo le trecce, mi pare che ancora avessi le trecce non mi ricordo quando me li sono fatti crescere però erano delle belle trecce che .. ecco nel ritratto di quel bravissimo fotografo di Padova che si chiamava?? (beh c’è scritto sotto) che è a Riccione io ho le trecce e ho vent’anni quindi avevo le trecce. Me le sono tagliate dopo. Le trecce facevano un certo senso tutto un insieme di cose insomma si vede che qualcuno mi aveva notato. E questo era un altro bravo che faceva gli appunti bene che io quindi avevo adocchiato e gli dicevo di spiegarmi le cose. Lui tutto felice era sempre lì vicino insomma, tutto questo in II anno di università che io poi avevo cambiato Fisica-matematica in Fisica pura perché a Padova c’era un professore che si chiamava Comesatti, molto bravo molto disgraziato che era talmente terribile che io dicevo che quell’esame di meccanica non l’avrei mai passato e così per levarmelo dai piedi sono andata a Fisica. Questo giovane frequentava la FUCI , veniva a messa il giovedì nella messa Fucina, gentilissimo, non diceva niente però come si usava una volta. Quando è finito il II anno di università un frate che lui conosceva da tanto tempo mi chiama, io sono stata molto sorpresa, mi chiama e mi fa entrare nel chiostro e lì comincia a parlar bene di questo giovane che lui conosceva molto bene, che era un giovane molto a modo così sincero, così intelligente, così tutto e che mi aveva scritto una lettera. E mi fa leggere la lettera. Se non svengo ci manca poco perché io non me lo aspettavo assolutamente. Peccato che non l’ho tenuta, non immaginate che lettera era! Io ero abbastanza vicino ad una santa che stava su un altare, io ero tutto!! Lui era un poveretto che implorava di potermi stare vicino insomma una cosa incredibile, io non sapevo che dire. Contemporaneamente avevo quell’altro che mi scriveva e quando andavo a Rimini trovavo le lettere e facevamo tutto quello scherzo con la Massani e questo mi viene a dire così! Io non l’avevo detto a nessuno che c’era quell’altro. (Oh le mie compagne di liceo lo sapevano bene !!). Quindi io sono rimasta di stucco e ho detto : “ ma non posso… non è possibile perché io sono già segretamente fidanzata con un ragazzo che ho conosciuto da matricola!” Questo insiste, insiste, insiste. Insomma sentite una cosa tremenda. Io non so come è andata a finire la lettera credo di avergliela lasciata. E’ un ricordo tragico perché oltre a tutto mi dispiaceva e ero sbalordita di tutte queste cose che non mi aspettavo assolutamente. Caro mio, quando torniamo questo si era allontanato, io facevo finta di niente non gli avevo mica detto niente, aveva parlato solo con sto frate , aveva continuato ad andare in FUCI? Io penso di si, non mi ricordo più niente. Finché arriva la fine del mese di gennaio del 1942 e a questo punto io gliel’ho detto.”Allora” mi dice “tante tante condoglianze, gentile, mi consola, mi sta vicino, bravissimo. Il tempo passa, finalmente a un certo momento questo chiede se può adesso essere lui al posto dell’altro che non sarebbe più tornato.
Che non sarebbe più tornato poi fino ad un certo punto perché in fondo era disperso quindi non si sapeva mai se avesse nuotato verso uno scoglio…ma che ne so?
Questo mi è venuto in mente dopo. E dai e dai io sempre piuttosto freddina e continua continua insomma finale dopo non ricordo quanto tempo è stato nel 43 alla Befana ho detto :” E va bene!”
Allora lui che, il massimo che aveva fatto era stato aiutarmi ad attraversare la strada tenendomi il gomito continuando sempre a darmi del Lei e anche io a lui, siamo andati nel Prato della Valle . In Prato della Valle ci siamo seduti su una panchina. Questo comincia a parlare, a fare gli occhietti dolci, io capisco qualcosa.
A un certo momento mi si avvicina, per baciarmi , altezza giusta e io, zacchete, mi volto dall’altra parte così mi ha stampato un bel bacio sulla guancia. Poi non lo so cos’è successo, penso di essermi messa a ridere , gli avrò dato un bacio pur’io… non mi ricordo.
E così è cominciata la storia mia con vostro padre!!
Beh…. Insomma… poverino era stato molto bravo aveva aspettato tanto poi alla fine c’era riuscito!
Adesso penso che sarebbe ora di dire come è andata a finire, non mi ricordo cosa ho detto poco fa
Mia mamma quando ha saputo di questo giovane che loro avevano accettato ha bruciato tutto, tutte le lettere di Gianni le fotografie, perché era sempre paurosa. Pensava” Chissà adesso questo viene le vede è geloso!” Che ne so io era fatta così. E quindi a me non è rimasta neanche una fotografia me ne mandò 1 una compagna di università che l’aveva trovata fra la sua roba, io avevo mandato in giro un santino per una morte presunta. E ricordo l’ultima volta nell’ inverno del 41 che venne a salutarci a Riccione, c’ero anch’io, papà, mamma, Marcella, Giorgio, Zia Giselda e lui venne e se ne andò. C’era la neve e mi ricordo queste peste sulla neve davanti dal cancello grande che andavano sulla strada e poi si perdevano. E’ l’ultimo ricordo che ho di questo ragazzo. Andai a casa sua a Mandello del Lario, e guardai il suo armadio, i suoi vestiti, parlai con questi genitori fuori di sé, l’unico maschio a cui tenevano tanto, giustamente. E poi dissi qualcosa e probabilmente sbagliai dissi che lui era molto cambiato, era contrario al fascismo, secondo me se viveva sarebbe diventato comunista e loro mi hanno sgridato moltissimo che assolutamente no. Non so cosa pensassero per comunista. Fatto sta che io sono convinta che sarebbe stato così.
Intanto io continuavo a stare a Padova dalle dimesse a fare l’assistente. Vostro padre, non so perché non gliel’ho mai chiesto, scelse di fare anche lui l’accademia navale. Non so perché sarebbe stato più logico che avesse fatto l’alpino. E invece è andato là, non lo capisco.
Lui ogni tanto veniva a Padova e allora andavamo in giro. Ricordo moltissimo quando andammo a Venezia e lui, tutto elegante in questa divisa mi portò, cerco di ricordarmelo ma non so se riesco, al caffé Florian di Piazza S. Marco, tutto antico ‘800 e mi fece pure una fotografia che riuscì benissimo con l’autoscatto che chissà dove è andata a finire.
Intanto era diventato guardiamarina pure lui. Era prima stato su una nave e poi, siccome eravamo così ben preparati che i nostri aeroplani non riconoscendo le nostre navi gli sparavano pure sopra, avevano fatto un corpo di osservatori aerei in modo da poter spiegare a chi sparava che quelle erano navi Italiane. Insomma era in questo corpo .
Contemporaneamente la sua mamma, che io non ho mai potuto conoscere, era malata di fegato ma non era un cancro era una malattia che si poteva curare e da Fai era in ospedale a Trento.
Lui siccome non è che fosse così desideroso di combattere per la patria, ogni volta che gli comunicavano che la mamma stava male si faceva dare un permesso e tornava per qualche giorno a Fai e poi ritornava sugli aerei. Il fatto è che quando ritornava sugli aerei veniva a sapere che i turni che aveva saltato non erano tornati dalle missioni e quindi gli è venuto un po’ di fifa. Per cui credo che tutta questa ricognizione non venisse effettuata così a largo raggio. Fatto sta che l’ultima volta che si trovò con il collega abbattuto al posto suo, gli venne l’esaurimento nervoso vero o presunto. Fatto sta che disse che stava male e lo mandarono a Cortina perché si riposasse ecc.
Mentre era a Cortina arrivò l’8 Settembre 1943.
Lui si tolse la divisa e un po’ a piedi, un po’ col treno, pulmann o non so con che cosa fatto sta che tornò a Fai. Era l’autunno del 43 e che doveva fare, era senza un soldo e venne a Padova e si presentò al prof. Rostagni e gli chiese di essere preso come assistente, lui era in grado di farlo, e Rostagni per molte ragioni lo accettò.
Così cominciamo a vivere io e lui in Istituto di Fisica. Io la mattina partivo da Luvigliano a 20 Km. da Padova dove c’era una casa delle suore Dimesse dove io abitavo, A rugliano c’era anche sfollatala famiglia di Rostagni. Invece lui era in casa del prof. Rostagni vicino al Prato della Valle e gli teneva aperta la casa quindi era una bellissima soluzione. Un bellissimo periodo per noi due perché a mezzogiorno mangiavamo in istituto e lì per fare bollire qualcosa c’erano i becchi Bunsen che erano piccoli e noi avevamo delle piccole pentole dove ci facevamo, non so perché, il riso al latte. Doveva essere nutriente, e non solo cuocevamo anche dei fagioli lessi solo che spesso ci dimenticavamo tutto sul becco e quindi c’era una puzza terribile di latte bruciato che è tremendo e anche di fagioli, e poi dovevamo buttare tutto. E questo nelle sale, nelle camere e nei corridoi, me lo ricordo benissimo. Inoltre eravamo completamente scervellati perché quando gli Americani bombardavano Mestre noi salivamo sulla torretta che se cambiavano un po’ rotta ci sarebbero venuti sulla testa. Ma erano bei tempi quelli ! Fu allora che fu bombardata una mattina la chiesa degli Eremitani con quei bellissimi affreschi del Mantenga che temo siano andati perduti a pezzettini, e quella volta tremavano talmente le case che non riuscivamo neanche ad aprire la porta secondaria dell’istituto di Fisica. A Pasqua del ’44 papà venne a salutare la mia famiglia eche viveva a Montegiardino. Eravamo sfollati lì da poco e mi ricordo benissimo papà che aveva accettato bene vostro padre e disse:” Io prego sempre la madonna di S, Luca perché mi faccia morire senza accorgermene perché ho paura”.
Quindici giorni dopo il prof. Rostagni mi chiama molto serio e mi dice:” Guardi, lei deve andare a casa sua perché suo padre sta male”. Io dissi subito:”Papà è morto!” Lì vicino c’era papà vostro e io mi ricordo che mi abbracciai a lui e piangevo. E’ stata l’unica reazione perché poi mi sono subito ripresa ricordando quella frase e mi è sembrata una grazia, e quindi ho ringraziato Dio.
E sono partita subito, sono partita che ancora c’erano i treni. Non so come sono arrivata in campagna; il fatto era successo in campagna. Papà era andato a vendere una partita di vino, si era trovato con altre persone aveva mangiato, bevuto non so ma lui vi dicevo che era della famiglia di Augusto Murri, anche Marcella lo sa, lui aveva capito benissimo di stare male da quando era saltata la casa di Rimini di cui non ho ancora parlato. Da quando era andato al funerale del fratello lui aveva una pressione bassissima e lo sapeva però non si curava. Ho visto le coperte stese ad asciugare e mamma e Marcella, che era la sua cocca, e Giorgio, Giorgio per due anni non ha nominato il nome del padre è stato così sconvolto da questa morte e faceva la quarta scientifico e nell’intervallo dell’estate si è preparato agli esami di 5°.
Devo tornare indietro, non mi pare di averne parlato, no penso di no,al Settembre del 43 Io ero in campagna eravamo ancora in campagna,è stato dopo che Papà ha deciso di andare a S. Marino perché aveva paura.
Un brutto giorno sono venuti gli aeroplani i B52 li sentivamo da lontano ormai ci avevamo fatti l’orecchio facevano: oohhuuhhoohhuu.
E lo sentivamo che si avvicinavano e si sono fermati sopra le colline di Rimini dove c’era un comando tedesco però dopo se invece di scaricare su tutta la città avessero scaricato nel mare ci mettevano 5 minuti e invece si sono alleggeriti delle bombe proprio lungo la via Garibaldi. Noi da lontano vedevamo questi fuochi, sentivamo questi scoppi guardavamo verso Rimini. Eravamo terrorizzati !
Quando finì, eravamo nel pomeriggio, papà disse :”prendi la bicicletta e vai a vedere che è successo.”
Io avevo certamente una bellissima bicicletta, molto comoda, me la sono presa mi sono incamminata. Non me lo ricordo, ero talmente preoccupata che so che mi sono trovata alle porte di Rimini , ho preso la bicicletta che valeva come una macchina l’ho lasciata in un fosso ( bah si vede che era nascosta!) e poi mi sono incamminata verso l’alto di via Garibaldi. Via via che camminavo vedevo tutte macerie sono arrivata davanti alla nostra casa: le macerie erano all’altezza del nostro appartamento. Allora ho cominciato a salire sui calcinacci. Un po’ tornavo indietro un po’ mi arrampicavo ed ero, ma non ricordo bene, penso che non avevo neanche paura.
Fine della faccia A della cassetta 2
Papà andò a lavorare a Milano in un laboratorio di fibre tessili nel 1935. La sua bella carriera di direttore era finita ma lui non si avviliva. Mamma invece era caduta in una brutta depressione per cui diceva che eravamo diventati poveri e facevamo fatica a mangiare! Andò per un anno a Bologna in casa di Zia Emilia e di Zio Vittorio (che insegnava al Galvani), e tornò che stava bene.
Andai a Milano nell’Ottobre del 1936 e nel John Bull ( era la cassetta di fero dove papà teneva i buoni della Montecatini e che ora è una casetta di sicurezza con qualche “oro” dentro) ci deve essere la mia tessera universitaria ( a chi l’avrò lasciata per ricordo?).
( parte aggiunta a mano da Mamma )
1 comment
Elisabetta
14 febbraio 2011 a 16:39 (UTC 0) Link a questo commento
uau :)